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L’ultimo demone (Mayse Tishevitz) di Isaac Bashevis Singer a teatro a Roma il 22 gennaio

21 gennaio 2011

sabato 22 gennaio 2011, ore 21

Centrale Preneste – Teatro per la Nuove Generazioni
Municipio Roma VI
via Alberto da Giussano 58
Ruota Libera Teatro

presenta
A SHED, IL DEMONE DI TISHEVITZ
di e con OLEK MINCER

liberamente tratto dal racconto
L’ultimo demone (Mayse Tishevitz)
di Isaac Bashevis Singer

scene e costumi: Lillo Bartoloni e Luisa Taravella

musiche: Massimo e Gabriele Coen
Claudio Mappelli, Paul Harden

suono: Paolo Modugno

prenotazioni: tel 06 25393527
tel/fax 06 27801063

Il cortile invisibile
Diavoli, spiriti, angeli e fantasmi abitavano con noi. Erano la prova che non solo gli esseri umani hanno bisogno dell’invisibile, ma che esso era implicato con noi. Che fosse per insidia o per protezione l’aldilà si curava dei vivi.
Una generale disinfestazione di quello che non è certificato dai sensi ha sterilizzato la vita dalla contaminazione con le presenze. Oggi il fantastico è compito del cinema e degli effetti speciali. E’ una luccicante contraffazione.
In “Questi fantasmi” Eduardo De Filippo mette in scena il doppiofondo che stava intorno alla vita, al quale il napoletano si rivolgeva con supplica di aiuto.
La narrativa e il teatro yiddish sono frequentati da fantasmi. Il dibbùk, dal verbo ebraico “davàk” attaccare, “l’appiccicato addosso”, lo spirito di un defunto che si artiglia a un vivo e lo governa. Il malocchio, l'”ain ha ra” è ossessione che minaccia il linguaggio e mette a rischio anche la pronuncia di un augurio. La creatura umana era attenta all’invisibile non per superstizione ma per sviluppo di centri nervosi di rilevazione di presenze. Così il giovane rabbi di Tishevitz sa che il pensiero di vanagloria che s’intrufola in lui mentre studia in lingua sacra è opera al nero, interferenza esterna di sobillatore al quale chiedere subito: “Chi sei ?” Oggi un tale comportamento rientra nel caso clinico di uno sdoppiamento della personalità, un disturbo della percezione. Abbiamo ospedalizzato l’invisibile. E’ questo il nostro disturbo. Pretendiamo di attenerci al sensibile e non ci accorgiamo che si restringe, si richiude a sacco su di noi. Ridotto a se stesso, privo di relazione con l’aldilà dei sensi, il sensibile si ammala di solitudine e si rattrappisce.
Il racconto di Singer e la cura di Olek Mincer nel restituircelo sono un rimedio omeopatico alla nostra paralisi d’immaginazione. Quello che accade in scena, accade in noi da sempre. Riapriamo almeno per una sera la finestra che abbiamo murato, affacciata sul cortile invisibile.

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